Racconto della vicenda
Dopo l’8 settembre del 1943, la situazione degli ebrei presenti in Italia peggiora notevolmente. Si vive sempre più in un clima di grande incertezza, e la paura cresce di giorno in giorno. Tutto ciò induce la famiglia Modena, che si era rifugiata a Bomporto (Mo) per fuggire ai bombardamenti angloamericani, ad abbandonare la bassa modenese, alla ricerca di un luogo più sicuro. Luogo che viene individuato in Quara, vicino Toano (Re). Così il padre, Enzo Modena, sotto il nome di Bianchi, ottenuto grazie a delle carte d’identità false fornite da un amico del Comune di Milano, si mette in cammino verso la piccola frazione dell’Appennino reggiano. Ed è proprio a Quara che la famiglia Modena incrocia la propria storia con quella di don Enzo Boni Baldoni. Don Enzo, parroco di Quara, ha disponibile un piccolissimo alloggio di circa 25 mq, senza bagno e con i servizi all’aperto. E su suggerimento di alcuni abitanti della zona, Enzo Modena bussa proprio alla porta della canonica di don Enzo, e chiede di incontrarlo, presentandosi inizialmente con il cognome Bianchi, ed evitando di esporgli subito le vere ragioni della propria presenza a Quara. Tuttavia, alla sua richiesta di concessione di quel modestissimo alloggio, don Enzo risponde: «Se lo prenda e sia fatta la volontà di Dio». Così, dopo alcuni giorni, l’intera famiglia Modena-Bianchi si trasferisce a Quara. Di lì a poco, Enzo Modena e la moglie Ester decidono di raccontare a don Enzo la loro storia e le vere ragioni del loro trasferimento a Quara.
«Da questo momento inizia un incredibile rapporto di amicizia tra la famiglia Modena e il parroco di Quara, che dura tutta la vita», così come racconterà successivamente Bruno Modena, figlio di Enzo. La disponibilità di don Boni Baldoni è totale: non solo si prodiga per rendere meno penosa la vita di profughi e rifugiati, ma più volte rischia addirittura la propria di vita per poter salvare la famiglia Modena e la sua comunità. La zona di Quara, infatti, sia prima sia dopo la liberazione da parte del movimento partigiano, è soggetta ai rastrellamenti nazisti. E in tali circostanze è proprio don Enzo a organizzare la fuga nei boschi e il sostentamento delle persone a rischio. Non solo. Perché in un primo rastrellamento, la popolazione decide di fuggire verso Gova, incontrando sciaguratamente proprio i tedeschi che hanno pensato di muoversi nella stessa direzione, e vedendo quelle decine di persone in fuga iniziano a mitragliare. «Don Enzo alza allora una camicia bianca e chiede la parola», racconta Bruno Modena. I tedeschi smettono di sparare, e il giovane parroco decide di dirigersi verso di loro. «Racconta loro una storia che ci consentirà di metterci in salvo», spiega ancora Bruno Modena. All’interlocutore nazista, infatti, spiega la necessità di fuggire durante le loro incursioni per non essere scambiati per dei collaborazionisti da parte dei partigiani. E la spiegazione funziona, facendo sì che i tedeschi riprendano la propria strada, senza tragiche conseguenze.
Altro rastrellamento e nuovo gesto di coraggio di don Enzo. In un’altra occasione, infatti, i tedeschi, informati della presenza in paese di gente che veniva da fuori, arrestano la moglie di Enzo Modena, Ester, e la conducono al Centro antiribelli di Ciano d’Enza (Re), in cui i partigiani vengono torturati e in alcuni casi uccisi. Fortunatamente, però, i nazisti non vengono a conoscenza delle origini ebraiche di Ester, e don Enzo riesce a intercedere con loro e liberare la madre di Bruno.
Alla fine del 1944, poi, la famiglia Modena decide di passare il fronte e spostarsi in Toscana, chiaramente ignara dell’evoluzione che avrebbe avuto il conflitto. E ancora una volta sarà proprio don Boni Baldoni ad assumersi l’onere di organizzare la fuga. Sarà lui, infatti, a mettere in contatto Enzo Modena con i contrabbandieri e far sì che l’intera famiglia possa passare il fronte incolume.
Così come in salvo riesce a mettersi anche la famiglia Padoa, costituita dal padre Dante, e dai figli Leone, Lazzaro e Vera. E anche in questo caso, l’artefice della loro salvezza è proprio don Enzo, che indirizza la famiglia Padoa verso un rifugio sicuro nel comune di Villa Minozzo (Re), sugli Appennini.
In tutto ciò, il prete di Quara agisce sempre nel massimo riserbo e mantiene contatti solo con i massimi dirigenti del Cnl, tanto che gli stessi partigiani della zona nutrono sospetti sui suoi rapporti con i nazifascisti. Solo dopo la Liberazione, un’indagine della Corte d’Assise straordinaria di Reggio Emilia, che ha il compito di giudicare i crimini fascisti e gli episodi di collaborazionismo, rivela il vero ruolo di don Enzo.
Nel 1955, l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane ringrazia ufficialmente don Boni Baldoni con un attestato di benemerenza. L’anno dopo riceve dalla comunità di Modena un ulteriore riconoscimento per la sua azione a favore della famiglia Padoa. E infine, il 4 marzo del 2001, Yad Vashem riconosce don Enzo Boni Baldoni come Giusto tra le Nazioni. (SNS)
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