Yad Vashem: la targa in onore di Alfonso Canova nel Giardino dei Giusti, vicino al sicomoro da lui piantato il 1 gennaio 1969 © Lucia Canova
Luogo Bologna, Pianoro (Bo), Emilia Romagna, Milano, Italia
Racconto della vicenda

L’agente immobiliare Alfonso Canova, originario di Sasso Marconi (in provincia di Bologna) e titolare a Bologna dell’agenzia immobiliare F.a.t.a., fornisce assistenza e salva sei ebrei stranieri che si trovavano in regime di internamento libero a Sasso Marconi.
Si tratta di Alexander Lang con la moglie di origine ungherese Rosalia (Rosa o Ruzica) Klein e loro figlio Vladimir, di Osijek, Croazia, del giovane ingegnere polacco Leonhard Pivok (o Piwok) amico di Vladimir, di una coppia senza figli, Viktor (o Vittorio) Altaras di Tassani (Bosnia) e sua moglie Luisa Benvenisti, probabilmente di Sarajevo, e di Karl Leibel (o Loebel), forse austriaco.
Come racconta Vladimir Lang nelle sue memorie, dopo essere fuggito da Osijek nel 1941 e aver trascorso un periodo a Lubiana, in Slovenia, nel maggio 1942 insieme al suo amico Lonek (Leonhard Pivok, che si era laureato a Zagabria in Ingegneria meccanica) partono alla volta dell’Italia, destinati in regime di internamento libero a Sasso Marconi, dove nel 1943 li raggiungono anche i genitori Alexander e Rosa Lang, con l’aiuto di Mario Finzi, giovane magistrato bolognese e delegato per la Delasem. L’anno precedente, tramite una conoscente della madre che viveva a Bologna, la signora Kunhegyi, una pittrice ebrea ungherese, Vladimir (che si era registrato insieme a Lonek presso la stazione di Polizia di Sasso Marconi come nipote e zio) aveva conosciuto Alfonso Canova, che aveva affittato una sua casa di Sasso Marconi alla signora Kunhegyi e una parte di essa ai due giovani, che iniziano a lavorare in una fabbrica di mattoni, poi nella cartiera di Marzabotto. Giunto a Sasso Marconi, Alexander Lang, che era orefice, trova lavoro a Bologna, dove si reca ogni giorno, mentre la moglie esegue lavori di cucito. Fin dai primi tempi, Alfonso Canova dona loro del cibo, come ricorda Vladimir nelle sue memorie. Anche gli Altaras si trovano a Sasso Marconi come internati liberi.
Dopo l’8 settembre la situazione in paese si fa difficile per gli internati, che rischiano l’arresto e la deportazione. In quel periodo Vladimir e i suoi conoscono un altro esule austriaco che proveniva dalle isole di Brioni, in Istria, Karl Leibel (o Loebel), che Vladimir ricorda più grande di lui, forse quarantenne e molto ricco. Vista la situazione di pericolo, Alfonso Canova porta il gruppo da Sasso Marconi al suo podere detto Mulinetto a Guzzano, vicino a Pianoro, a pochi chilometri sia da Bologna sia da Sasso Marconi, in una località più isolata e sicura. Là rimangono nascosti e Canova ogni settimana porta loro cibo e fornisce conforto.
A causa di una denuncia, Canova è costretto a spostare il gruppo prima a Bologna a casa sua in via Zannoni e in via Tolmino a casa di Anna di Bernardo, all’epoca sua segretaria, poi in un altro appartamento. Anna di Bernardo, con l’aiuto di sua zia Laura e di un impiegato comunale, fornisce loro documenti falsi e false tessere annonarie che va a ritirare personalmente negli uffici del Comune. Questi documenti permettono al gruppo di vivere durante il periodo trascorso a Bologna, poi di mettersi in viaggio verso la Svizzera.
Canova accompagna alcuni di loro in treno a Milano (senz’altro i Lang e Pivok, non ci sono notizie certe riguardo gli altri, che forse partono in altro momento, ma in ogni caso sono aiutati economicamente da Canova). A Milano i Lang sono ospitati a casa di una cugina di Canova, poi in un appartamento con altri ebrei in fuga. Canova viene arrestato a dicembre e interrogato, con l’accusa di aver dato rifugio a ebrei e rimane in carcere a Bologna al Comando militare di Porta San Mamolo per circa otto giorni. Durante gli interrogatori non dà alcuna informazione riguardo i suoi protetti e, non sussistendo prove per trattenerlo, il 13 dicembre viene liberato sulla parola, avendo chiesto di potersi recare a vedere la sua bimba di due anni, Lucia, nel giorno del suo onomastico.
Dopo quasi due mesi, Canova riesce a organizzare la fuga in Svizzera, occupandosi anche degli aspetti economici. Il primo è Vladimir Lang, il 13 marzo 1944, seguito un mese dopo dai genitori e da Lonek, che entrano in Svizzera il 13 aprile 1944. Non sono noti i dettagli della fuga degli Altaras. L’Holocaust Survivors and Victims Database (www.hshmm.org) li elenca tra gli ebrei entrati il 15 aprile 1944. Un Vittorio Altaras, di Spalato, è citato insieme ad altri tre ebrei protagonisti della fuga dal carcere di Como con l’aiuto della crocerossina Luisa Colombo (Picciotto 2017, 255). Sembrerebbe trattarsi dello stesso Viktor Altaras, forse fermato mentre si apprestava a passare in Svizzera.
Dal 1945 al 1948, Vladimir Lang ritorna in Jugoslavia con la famiglia e là termina gli studi. Nel dicembre 1948 emigra insieme ai genitori in Israele e dal 1957 si trasferisce negli Stati Uniti. La sorellina Maja, di dieci anni, che era stata affidata a parenti in Ungheria poiché i genitori temevano che la fuga in Italia sarebbe stata pericolosa, era stata invece deportata e uccisa ad Auschwitz. Il 20 giugno 1963, i Lang donano dieci alberi, piantumati in Israele, per ricordare la generosità di Alfonso Canova. Il 24 gennaio 1968, a seguito della testimonianza di Rosa Lang, Alfonso Canova viene riconosciuto da Yad Vashem quale Giusto tra le Nazioni. La famiglia Lang continua in seguito a intrattenere rapporti con la famiglia Canova, visitandola e dimostrando tangibilmente la propria gratitudine. Raggiunto dalla notizia della morte di Alfonso Canova, anche Leonhard Pivok invia un telegramma di cordoglio alla famiglia: «Sincerissime condolence a famiglia del non obligato benefattore. Pivok». Nel suo italiano anglicizzato, Pivok intendeva manifestare le sue «condoglianze alla famiglia dell’indimenticato benefattore».
La famiglia Canova non ha più avuto contatti con gli altri salvati. I nomi di Viktor e Luisa Altaras compaiono in un elenco di passeggeri arrivati a Buenos Aires a bordo della nave “Argentina” il 29 maggio 1948. L’Holocaust Survivors and Victims Database indica che Leonhard Pivok (Piwok) entrò in Svizzera il 24 marzo 1944. Il nome Carlo Liebel compare nel database degli ebrei stranieri internati in Italia www.annapizzuti.it, senza dati ulteriori. Un Karl Liebel (22/11/1923) è tra gli intervistati del progetto USC Shoah Foundation Institute (intervista 3242, resa il 14/06/1995, in Florida) e compare anche nell’Holocaust Survivors and Victims Database. Anch’egli viennese, è molto più giovane rispetto al ricordo di Vladimir Lang e sembrerebbe trattarsi di un’altra persona.
Prima del riconoscimento quale Giusto tra le Nazioni, il 16 maggio 1965 Alfonso Canova aveva ricevuto una Magen David (stella di David) d’argento dal Comitato del Premio ai Buoni, che nella stessa occasione tributa una stella d’oro in memoria di Mario Finzi (1913-1945) deportato e morto ad Auschwitz un mese prima della liberazione del campo.
Il 1° gennaio 1969, nel corso di una cerimonia a Yad Vashem, Alfonso Canova pianta un sicomoro nel Giardino dei Giusti accompagnato dalla moglie e dai Lang. Il 24 gennaio 2012 anche il Comune di Sasso Marconi rende omaggio ad Alfonso Canova piantando un melograno presso la sede dell’Istituto professionale per l’Agricoltura e l’Ambiente B. Ferrarini, alla presenza di Lucia Canova e di Anna di Bernardo e di una delegazione di alunni delle scuole Serpieri e Fermi di Bologna, questi ultimi autori di una ricerca sulla vicenda, nell’ambito del progetto StoriaMemoria. (EC)

Bibliografia  Gutman I., Rivlin B. (a cura di), I giusti d’Italia. I non ebrei che salvarono gli ebrei, 1943-1945, Mondadori, Milano 2006, p. 85.

Lang V., “Among the Righteous”, pp. 290-292, in A. Brostoff and S. Chamovitz (a cura di), Flares of memory. Childhood Stories written by Holocaust Survivors, The Holocaust Center of the United Jewish Federation of Pittsburgh, 1998 (trad. it. V. Lang, La mia autobiografia, www.storiamemoria.it, 2011).

Picciotto L., Salvarsi. Gli ebrei d’Italia sfuggiti alla Shoah. 1943-1945, Einaudi, Torino 2017, pp. 60, 297.