Luogo Fanano, Modena, Emilia Romagna, Italy
Ospitale, Modena, Emilia Romagna, Italy
Racconto della vicenda

La famiglia Andreoni, che ai tempi della Seconda guerra mondiale vive a Fanano, in provincia di Modena, sulle montagne dell’Appennino emiliano-romagnolo, di vite ne salva quattro: quelle di Cesare Valabrega, di sua moglie Carla, e delle figlie Benedetta ed Emma. La storia che legherà per sempre le famiglie Andreoni e Valabrega parte dall’autunno del 1938, quando l’Italia fascista promulga le leggi razziali, e i Valabrega, Cesare e Carla, concertisti bolognesi noti a livello internazionale, perdono il lavoro in quanto ebrei, e si trovano costretti a vivere d’espedienti, sempre in fuga. Si spostano quindi di città in città, grazie ai documenti falsi forniti dal Cln bolognese, il Comitato di Liberazione Nazionale, col quale Cesare è in stretto contatto. In particolare, nell’autunno del 1942 i Valabrega arrivano a Sestola, un piccolo comune dell’Appennino modenese, con le due figlie Benedetta, di otto anni, ed Emma, di pochi mesi.
In quel periodo sono numerose le famiglie di sfollati ebrei rifugiatesi nella zona, e i Valabrega si fermano a Sestola per circa un anno, conducendo una vita abbastanza serena anche grazie alla protezione di Luigi Galli, che dà loro in affitto un appartamento nella villa in cui lui stesso abita, e del parroco del paese, don Telesforo Pedroni.
Dopo l’8 settembre del 1943, però, tutto cambia: con l’esercito italiano senza ordini e allo sbando, le truppe tedesche occupano gran parte della Penisola, e la situazione degli ebrei peggiora notevolmente. Anche Sestola diventa un posto poco sicuro per Cesare e la sua famiglia, e alcuni amici da Bologna lo convincono che sia necessario trasferirsi ancora, per evitare di essere scoperti dall’esercito nazifascista. Così, il curato di Sestola si mette in contatto con don Giovanni Ricci, un sacerdote di ventisette anni da poco parroco a Ospitale, frazione del comune di Fanano, sempre sull’Appennino modenese. Ed è proprio don Ricci che accompagna la famiglia Valabrega a casa di Gildo Andreoni, dopo un cammino di circa dieci chilometri.

Nel novembre del 1943 – racconta Gioiello Andreoni, figlio di Gildo (n.d.a.) – si presentò a Casa Gioiello il parroco di Ospitale, Don Ricci, accompagnato da una famiglia composta dai genitori e da due bimbe, una di nove anni e l’altra di un anno. Chiese a mio padre se potevano ospitarli, sapendo che vi erano alcune stanze vuote. E lui, che tanto aveva viaggiato ed era al corrente delle leggi razziali promulgate dal regime fascista nel 1938, capì subito che si trovava di fronte a una famiglia di ebrei. Ne intuì tutti i pericoli, ma non seppe dire no a questi fuggiaschi nei cui occhi leggeva tutta la preoccupazione per un possibile e comprensibile rifiuto.

A Ospitale la famiglia Valabrega vive nascosta per un anno in una stanza al primo piano di Casa Gioiello, un casolare in cui i fratelli Gildo Andreoni, che ha combattuto in Russia come carabiniere nel corpo di spedizione italiano, e Rosa Andreoni vivono insieme alla madre, Elisa Muzzarelli. In paese quasi tutti sanno o comunque sospettano che si tratti di una famiglia di ebrei nascosta lì, a casa dei loro vicini, ma nessuno dice nulla, e tutta la comunità contribuisce in qualche modo a proteggerli. Ricorda Emma Valabrega, la figlia più piccola che oggi vive in un kibbutz in Israele: «Non solo la famiglia Andreoni mise a repentaglio la propria sicurezza, condividendo con noi quello che aveva, ma l’intera popolazione seppe mantenere il segreto della nostra presenza».
Così, queste due famiglie cominciano a convivere sotto lo stesso tetto, ma come spiega Gioiello Andreoni, «bisognava però salvare le apparenze. Carla Valabrega allora, pur essendo ebrea, iniziò ad andare in chiesa per la messa fingendosi cattolica. Il marito Cesare scriveva invece musica e recensioni di grandi musicisti, e in quel periodo stava curando un lavoro su Bach». E non mancano, nonostante tutto, anche degli aneddoti divertenti: «Un giorno, abbandonato il suo quaderno sul prato, trovò la mucca che ne stava divorando alcune pagine, immaginarsi la costernazione». E ancora: «Una sera, a Casa Gioiello si erano ritrovati alcuni amici per suonare assieme. Carla scese dalla camera e chiese se potevano prestarle il violino. La melodia che ne scaturì sconsigliò i suonatori del paese dal riprovarci».
Così come non mancano, ovviamente, anche dei momenti di tensione e angoscia. Uno di questi si verifica a inizio primavera del 1944, il giorno in cui alcuni militari repubblichini della RSI si presentano a casa Andreoni per prelevare Gildo, che rientrato dalla campagna di Russia non si è più ripresentato alle armi, diventando di fatto un disertore. Il tutto con la famiglia Valabrega sempre nascosta in una camera del primo piano. Fortunatamente l’abitazione non viene però perquisita, la famiglia quindi si salva, e per alcuni mesi ancora si rifugia in Casa Gioiello.
I giorni passano con tanta ansia, ma senz’altri incidenti particolari. La popolazione sa, ma nessuno lo manifesta, finché un giorno, nell’ottobre del 1944, si presenta alla porta degli Andreoni il padre di don Giovanni Ricci. «Aperta la porta, guardò mio padre e gli disse: mio figlio e voi ci volete far bruciare tutti in casa dai tedeschi!», racconta Gioiello Andreoni. «Cesare sbiancò e cadde svenuto, e anche mia nonna Elisa, che non era andata al di là di un ragionevole dubbio, ebbe la certezza che il pericolo fosse reale. Per la famiglia Valabrega non era più tempo di indugiare oltre, il fronte non veniva sfondato e allora era meglio rischiare di attraversarlo.» Don Ricci si mette quindi in contatto con don Silvio Lori, parroco di Fellicarolo, altra frazione del comune di Fanano ma un po’ fuori dalle strade più frequentate, in cui i Valabrega avrebbero potuto trovare una guida per attraversare il fronte.
Lasciata casa Andreoni, Cesare, Carla e le due figlie raggiungono a piedi, fra viottoli e sentieri, l’abitazione di Andrea e Cristina Giambi, dove trascorrono alcune notti. Giovanni Giambi, chiamato Giannino, uno dei nove figli di Andrea e Cristina, di professione calzolaio, conosce bene quelle montagne, ed è proprio lui che, in una notte di bufera del novembre 1944, accompagna la famiglia Valabrega verso la libertà. È lo stesso Cesare Valabrega che, nella prefazione al libro su Bach scritto durante il periodo trascorso a Casa Gioiello, descrive quel complicatissimo e rischioso passaggio della Linea Gotica:

Nella notte fra l’1 e il 2 novembre 1944 due uomini, una donna e una bimba di dieci anni salivano una montagna asperrima della “Linea Gotica”: un’altra bimba di due anni era portata a braccia dal padre o dalla madre durante la drammatica ascesa. Furibonda, la tormenta di neve infieriva sui volti e sui corpi. Nella nebbia comparivano e scomparivano a squarci le sagome delle cime sempre più lontane, sempre più nemiche. Lassù era forse la salvezza, ma poteva essere anche la morte. La guida, Giannino Giambi, era in testa, audace e vigile nella coscienza del pericolo e del generoso compito cui si era volontariamente votato: salvare questi esseri braccati dai tedeschi razzisti. Ma sulle vette, ove correva la linea del fronte, c’era la postazione in agguato, davanti alla quale si doveva pur passare, come si doveva fuggire l’altro agguato che premeva inesorabile alle spalle. Alle tre del mattino questi esseri umani, ombre folli e spettrali in mezzo alla tregenda della natura, giungono a pochi passi dalla postazione. Millenovecento metri. Sono fuori dai camminamenti i tedeschi? Domanda angosciosa. Gli attimi fuggono come le falde di neve dinanzi agli occhi. Una sosta. Nessun rumore. Solo la bufera. La bimba, improvvisamente colpita al viso da una lama di ghiaccio, urla.
Via, quattro ombre passano veloci davanti alla postazione. La bocca dell’arma all’apertura del camminamento rimane muta. La violenza della natura ha protetto il passaggio dei fuggitivi: chi se non dei condannati a morte o degli spettri avrebbe potuto vagare su quelle montagne, in quell’ora? La oscura “zona di nessuno”, limbo di insidie, inghiottì quei cinque. E furono altre ore di spasimo nella notte, durante la lunghissima discesa a valle. Ma il fronte era ormai violato, sotto gli occhi e il fiuto della belva nazista. Era avvenuto il miracolo anche in virtù di un’indomita volontà e di una dedizione suprema.
Quando ogni pericolo finalmente cadde e l’agognata libertà fu raggiunta, con i fuggitivi qualche altra cosa si era salvata: un manoscritto che giaceva in fondo al sacco da montagna, grondante. Il manoscritto del presente volume. Il suo autore era stato, insieme alla famiglia, il protagonista della terribile avventura.

Oltrepassato il fronte e conclusa la guerra, la famiglia Valabrega si stabilisce a Roma, dove Cesare riprende la sua vita di sempre, quella movimentata e ricca di interessi di grande concertista e raffinato musicologo, tenendo concerti in gran parte del mondo.
Nel 2010 Emma Valabrega, chiamata Mimì, si mette in contatto con Gioiello Andreoni per far dichiarare Giusti tra le Nazioni Gildo e Rosa Andreoni, e la loro madre, Elisa Muzzarelli, che come visto hanno nascosto e protetto la sua famiglia per lungo tempo. E cinque anni dopo, esattamente il 29 luglio del 2015, la famiglia Andreoni viene insignita dell’onorificenza dall’ambasciatore di Israele, Dan Haezrachy. (SNS)

Bibliografia  Andreoni G., Andreoni, “Giusti fra le Nazioni”, in Fanano fra storia e poesia, n. 26, giugno 2016.

Mignani E., E un giorno arrivò un pianista che suonava Bach, in I Quaderni di E’ Scamàdul, n. 1 anno VI, giugno 2012.

Valabrega C., La musica sacra di Bach, Guanda Editore, Parma 1965.