Le organizzazioni di soccorso ebraiche
nell’Italia fascista (1933-1937)


In un contesto internazionale, quello degli anni ’30 del secolo scorso, in cui sono pochi i Paesi che mantengono le porte aperte all’emigrazione proveniente dalla Germania, la posizione dell’Italia, almeno inizialmente, è differente. Il Governo italiano si dichiara disposto ad accogliere i migranti, e nell’ottobre del ’34 invita l’Unione delle Comunità Israelitiche Italiane (UCII) a collaborare, sulla questione dei profughi provenienti dalla Germania, con l’Alto Commissario presso la Società delle Nazioni.

L’attività di assistenza vera e propria era già iniziata nell’aprile del 1933, non appena erano giunte in Italia le notizie relative al boicottaggio delle attività commerciali degli ebrei. In breve tempo, erano sorti in diverse grandi città Comitati di assistenza, dipendenti a loro volta da un Comitato Centrale, il Comitato di assistenza agli ebrei di Germania, con sede presso l’Unione delle Comunità. E mentre quest’ultima aveva mantenuto e manterrà il suo ruolo istituzionale di ente rappresentativo dell’ebraismo italiano nei confronti delle autorità governative e di ente coordinatore delle attività comunitarie, attraverso i Comitati di assistenza e attraverso una sottoscrizione aperta presso ciascuna comunità in favore dei correligionari perseguitati, si cerca di far fronte alle necessità degli emigranti ebrei che arrivano in Italia.

L’assistenza si concretizza anche nell’elaborazione di un piano di lavoro finalizzato alla ricerca di impieghi per gli emigranti, soprattutto per coloro che hanno la prospettiva di un lungo periodo di permanenza in Italia. Non vengono invece concessi sussidi permanenti, ma si interviene solo in casi di particolare bisogno con piccole somme. In particolare, le spese più frequenti riguardano i costi per il proseguimento del viaggio, il vitto e l’alloggio.

Molte Comunità israelitiche anche grandi, come quelle di Torino, Fiume, Livorno o Ferrara, decidono di non creare un comitato specifico, e preferiscono affidare l’attività di soccorso agli enti assistenziali già esistenti, così come avviene anche a Genova, dove già da tempo è presente un comitato costituito per aiutare gli emigranti a imbarcarsi. 

A Padova, Pisa e Bologna esistono particolari organizzazioni di assistenza per gli studenti, create dalle comunità locali, inizialmente per gli studenti ebrei provenienti dall’Europa orientale, ma a cui in seguito si rivolgono anche i tedeschi, viste le pesanti limitazioni al trasferimento di valuta. 

Per quanto riguarda, invece, i Comitati di assistenza locali istituiti nel ’33, i più importanti sono sicuramente quelli di Trieste e Milano. A Trieste, già dal 1921 esiste il Comitato italiano di assistenza agli emigranti ebrei, finanziato soprattutto dalla Jewish Agency for Palestine, che assiste gli emigranti provenienti prevalentemente dall’Europa orientale e diretti appunto in Palestina, e quando alla fine del ’39 viene creata la Delasem (Delegazione per l’Assistenza degli Emigranti Ebrei), è proprio questo Comitato ad assumerne direttamente la rappresentanza cittadina.

A Milano, invece, dove nel primo anno e mezzo si stabiliscono circa 500 migranti, il Comitato di assistenza per gli ebrei profughi dalla Germania viene creato nell’aprile del ’33 dal presidente della Comunità israelitica della città, Federico Jarach. La città diviene presto il luogo più importante per l’attività assistenziale, con la stessa UCII che ne riconosce la posizione centrale, e negli anni successivi il lavoro del Comitato diventa sempre più vasto, anche perché aumenta il numero dei migranti che dimorano stabilmente a Milano, e allo stesso tempo sono sempre più numerosi coloro che arrivano del tutto privi di mezzi. Viene quindi creata una sezione per l’aiuto costruttivo, per attuare un programma di inserimento nel mondo del lavoro, e si creano rappresentanze del Comitato nelle maggiori città italiane.


Le organizzazioni di soccorso ebraiche nell’Italia fascista dopo il 1938

Con la promulgazione della legislazione razziale, l’attività ebraica di assistenza si trova di fronte a nuovi e più difficili compiti da affrontare: non solo aumentano i costi, ma cambiano anche le priorità. Se prima una parte importante dell’attività era rivolta alla ricerca di un posto di lavoro per gli emigranti e i profughi ebrei, dopo il 12 marzo del ’39, con l’entrata in vigore del divieto di lavoro (collegato al decreto di espulsione) e l’impossibilità di prorogare i relativi permessi, emergono nuove necessità. L’allontanamento incombente, infatti, rende urgente un ampliamento dell’attività di sostegno per l’esodo, attività che serve anche ai comitati stessi per legittimare la propria esistenza di fronte alle Autorità, e che non si limita al solo sostegno economico. 


Il Comasebit

Le mutate condizioni inducono i responsabili milanesi del Comitato di assistenza per gli ebrei profughi dalla Germania a ridefinire il proprio ruolo. E la nuova denominazione assunta alla fine del ’38, Comitato di assistenza agli ebrei in Italia (Comasebit), sottolinea la volontà di estendere lo sforzo assistenziale a tutti gli ebrei presenti nella Penisola. 

Tutto è però reso decisamente più difficile dai complicati rapporti tra il Comasebit e l’Unione delle Comunità Israelitiche Italiane. Al desiderio di indipendenza del Comitato si contrappongono infatti i tradizionali timori dell’UCII sul mantenimento dei rapporti col regime. Timori che allontanano sempre più gli uomini di Milano da quelli di Roma, ma che non sono del tutto infondati, dato che il Ministero dell’Interno, che preferisce un più stretto controllo sull’attività assistenziale, inizia presto a pensare a uno scioglimento del Comitato milanese. E gli scarsi risultati relativi all’espulsione e l’aumento del totale degli ebrei stranieri presenti in Italia convincono definitivamente Mussolini a sospendere l’attività del Comitato. Sospensione che avviene il 15 agosto del 1939, e che precede di due settimane il formale scioglimento. Dopo soli nove mesi di vita, quindi, si pone fine all’esperienza del Comasebit.


La Delasem

Subito dopo lo scioglimento del Comasebit, l’Unione decide di affidare temporaneamente l’attività di assistenza agli uffici rabbinici di ciascuna comunità. In pratica, però, non essendo i rabbini in grado di provvedere al gravoso compito, la distribuzione dei sussidi rimane affidata agli ex collaboratori del Comasebit, che continuano a lavorare più o meno illegalmente. Anche perché sono gli stessi profughi ad evitare i rabbinati per paura di essere spiati. Una situazione quindi di certo non sostenibile nel lungo periodo, e che nell’ottobre del 1939 porta l’Unione stessa ad affidare all’avvocato genovese Lelio Vittorio Valobra, membro della giunta, il compito di studiare un piano per una soluzione del problema che sia compatibile con le politiche governative.

Il Governo italiano, che non ha alcuna alternativa diversa da quella di un allontanamento in massa alla frontiera tedesca, cosa assai poco gradita ai nazisti, e che preferisce da sempre una centralizzazione facilmente controllabile dell’attività assistenziale, dà il proprio consenso al piano proposto dall’Unione. Così, il primo dicembre del 1939, la Delasem inizia la propria attività.

Centralizzazione, razionalità funzionale, subordinazione agli orientamenti dell’Unione e apoliticità sono i quattro criteri fondamentali che ispirano la nuova organizzazione, la cui sede centrale è a Genova, che insieme a Trieste (dove continua a operare il Comitato italiano di assistenza agli emigranti ebrei) è il porto più importante per l’esodo. A capo della Delasem vi è Valobra, che a sua volta nomina 21 rappresentanze in altrettante città. 

Dopo l’entrata in guerra dell’Italia, nel giugno del 1940, con l’internamento di gran parte degli esuli e dei profughi ebrei, la Delasem deve provvedere sia agli internati nei campi di concentramento e in oltre 150 comuni, sia alle donne e ai bambini cui viene concesso di rimanere nelle città di residenza. La propria attività, nei contenuti, è praticamente in continuità con quella del Comitato che l’ha preceduta, e prosegue ininterrottamente fino all’occupazione tedesca. 

Dopo l’8 settembre del 1943, infatti, la storia della Delasem è quella degli sforzi di alcuni dei suoi dirigenti e funzionari che, agendo in clandestinità, continuano come e finché possono la loro opera a favore dei propri correligionari.


La Mensa dei Bambini

Creata a Milano da Israel Kalk, ingegnere immigrato dalla Lettonia e sposato con un’italiana, la Mensa dei Bambini è l’unica organizzazione assistenziale privata ebraica al di fuori delle istituzioni ufficiali fondate dagli ebrei italiani. E nasce nel 1939, proprio in quella fase di temporanea paralisi dell’attività ebraica di assistenza dovuta allo scioglimento del Comasebit.

Dopo vari tentativi falliti per trovare un sostegno presso le Autorità ebraiche e cattoliche, Kalk decide di agire in proprio. Affitta quindi un ristorante abbandonato, nel centro di Milano, in cui circa sessanta bambini iniziano a ricevere un pasto caldo. Quest’opera per l’assistenza ai profughi prende appunto il nome di Mensa dei Bambini e, dopo vari trasferimenti, nel giugno del 1940 trova una sede stabile in un appartamento al civico 10 di via Guicciardini, dove rimane fino all’agosto del 1943, quando l’intera palazzina viene distrutta dai bombardamenti.

L’obiettivo che si pone Kalk, insieme a un piccolo gruppo di altri benefattori, è quello di distrarre i bambini dalla triste e complicata vita giornaliera dei profughi, restituendo loro una vita “normale”, fatta di scuola, di studio, di svago. Ma in seguito la Mensa estende il suo raggio d’azione e la sua attività assistenziale anche oltre la città di Milano e ad altre categorie di profughi particolarmente bisognose, come ad esempio quella degli internati nei diversi campi di concentramento e località di confino libero, dopo l’entrata in guerra dell’Italia. Così, alla somministrazione di pasti caldi e alla distribuzione di vestiario si aggiungono presto, tra le altre attività, anche l’assistenza medica, i servizi di igiene collettiva e individuale, l’assistenza ai naufraghi e agli sfollati, lo svincolo dei bagagli giacenti presso gli spedizionieri.

L’attività svolta dalla Mensa dei Bambini non è certo paragonabile, per dimensioni, a quella della Delasem, tuttavia è di fondamentale importanza per il sostegno morale, e non solo, che riesce ad offrire ai profughi, anche grazie a un rapporto più diretto con gli stessi. 


L’assistenza non ebraica

Fino alla promulgazione delle leggi razziali italiane sono rarissimi i contatti tra ebrei emigrati e istituzioni cattoliche. Per lungo tempo, in Italia, l’attività di assistenza su questo fronte è del tutto marginale e limitata alla disponibilità dei singoli. Non esiste, infatti, un comitato di assistenza cattolico, anche perché l’emigrazione cattolica è inizialmente limitata, e si temono soprattutto ripercussioni sulla Chiesa nei Paesi sotto il dominio nazista, o da parte del regime fascista in Italia. 

Nel momento in cui, però, diversi alti prelati prendono le distanze dalla legislazione razziale italiana, molti ebrei vedono nella Chiesa un riparo contro le persecuzioni. Non a caso è elevato il numero di conversioni, e non coinvolge solo gli ebrei italiani, ma anche gli emigranti e i profughi.    

In particolare, tra le congregazioni presenti in Italia, quella che più si espone nell’attività di assistenza è sicuramente la Congregazione dei Pallottini. E ben presto sia i Pallottini che il segretario dell’Opera S. Raffaele (St. Raphaels Verein) di Amburgo, Max Grösser, che si occupa dell’emigrazione dei cattolici “non ariani”, si convincono della necessità di istituire anche in Italia un comitato di assistenza. Convinzione che, però, non trova alcuna sponda in Vaticano, dove si discute della questione senza giungere ad alcuna decisione in merito.

Dopo l’8 settembre del ’43, in molte località il clero cattolico supporta i collaboratori clandestini della Delasem, assumendosi il compito di trasmettere e distribuire i sussidi alle persone che vivono in clandestinità, o aiutando chi voglia fuggire in Svizzera. E in generale, il soccorso agli ebrei da parte del mondo cattolico, inteso come l’insieme costituito dal clero secolare, dal clero regolare, dagli uomini dell’Azione Cattolica e di altre opere, è vasto e articolato. Senza di esso, molte vite non avrebbero potuto salvarsi.

Nel maggio del 1940, invece, il Governo italiano aveva concesso alla Congregazione protestante dei Quaccheri l’autorizzazione all’apertura di un ufficio in Italia, per coordinare l’attività di assistenza ai tanti esuli presenti nel Paese. Ciò portò in pratica a una suddivisione dei compiti, con la Delasem che trasmetteva al nuovo ufficio tutte le pratiche relative ai casi di assistenza ai non ebrei. Così, l’organizzazione dei Quaccheri, accanto a quelle ebraiche, divenne ben presto una delle colonne portanti dell’attività assistenziale. 


 

  • Antonini Sandro, Delasem. Storia della più grande organizzazione ebraica italiana di soccorso durante la Seconda guerra mondiale, De Ferrari, Genova 2000.
  • Antonini Sandro, L’ultima diaspora. Soccorso ebraico durante la seconda guerra mondiale, De Ferrari, Genova 2005.
  • Leone Massimo, Le organizzazioni di soccorso ebraiche in età fascista (1918-1945), Carucci, Roma 1983.
  • Moro Renato, La Chiesa e lo sterminio degli ebrei, il Mulino, Bologna 2002.
  • Paini Rosa, I sentieri della speranza. Profughi ebrei, Italia fascista e la “Delasem”, Xenia, Milano 1988.
  • Picciotto Liliana, Salvarsi. Gli ebrei d’Italia sfuggiti alla Shoah (1943-1945), Einaudi, Torino 2017.
  • Sarfatti Michele, Gli ebrei nell’Italia fascista. Vicende, identità, persecuzione, Einaudi, Torino 2018.
  • Sarfatti Michele, La Shoah in Italia. La persecuzione degli ebrei sotto il fascismo, Einaudi, Torino 2005.
  • Sorani Settimio, L’assistenza ai profughi ebrei in Italia (1933-1941). Contributo alla storia della Delasem, Carocci, Roma 1983.
  • Voigt Klaus, Il rifugio precario. Gli esuli in Italia dal 1933 al 1945, La Nuova Italia, Milano 1999.
  • Voigt Klaus, Notizie statistiche sugli immigrati e profughi ebrei in Italia (1938 – 1945), in “Israel, un decennio 1974 – 1984”, Carucci, Roma 1984.
  • Voigt Klaus, Villa Emma. Ragazzi ebrei in fuga 1940-1945, La Nuova Italia, Milano 2002.
  • Zuccotti Susan, Il Vaticano e l’Olocausto in Italia, Mondadori, Milano 2001.

Fonti archivistiche

  • Archivio Centrale dello Stato di Roma, Ministero dell’Interno, Direzione generale di pubblica sicurezza, Divisione affari generali e riservati, A16, busta 2, fasc. A6, s. fasc. 2 Emigrazione in Etiopia dei tedeschi non ariani.
  • Archivio della Fondazione Centro di documentazione ebraica contemporanea di Milano, Fondo Israel Kalk, I/La Mensa dei Bambini di Milano con sezioni nei campi di concentramento, busta 1, fasc. 2, L’opera di assistenza sociale ebraica Mensa dei Bambini di Milano.