Corriere della Sera, 9 settembre 1943
News Chronicle, 9 settembre 1943

L’8 settembre e le conseguenze per gli ebrei in Italia


La crisi di luglio e la proclamazione dell’armistizio

L’8 settembre 1943 viene annunciato l’armistizio tra il governo italiano e gli angloamericani, firmato il 3 settembre a Cassibile (Siracusa). Questo evento, cruciale per il corso della guerra in Italia e non solo, era stato preceduto da una profonda crisi militare e politica. A gennaio crolla il fronte italiano in Russia – con la conseguente tragica ritirata dell’Armir, l’8ª Armata italiana, a maggio avviene la resa tedesca e italiana in Tunisia, il 10 luglio gli alleati sbarcano in Sicilia, dalle cui basi iniziano a bombardare pesantemente le città del centro nord. Questi eventi accelerano il fallimento del fascismo: gran parte degli italiani sono ormai ostili alla guerra e al regime. Il 25 luglio, per decisione del Gran consiglio del fascismo, Mussolini viene deposto e arrestato, il re nomina nuovo capo del governo il maresciallo Pietro Badoglio. Dopo un mese e mezzo (i “quarantacinque giorni”) di politiche ambigue – tra assicurazione della fedeltà alle forze dell’Asse, trattative segrete con gli Alleati e segnali contraddittori nei confronti dei partiti antifascisti, che spingevano per l’uscita dal conflitto – Badoglio annuncia la resa incondizionata dell’Italia all’esercito alleato.


I “quarantacinque giorni” dell’estate 1943 e il governo del Sud

Immediatamente dopo lo sbarco in Sicilia, l’Allied Military Government decreta l’abolizione di qualsiasi legislazione discriminatoria in base a “razza, colore o credo”: dato che nell’isola si trovavano pochissimi ebrei, si tratta di un atto con effetti più simbolici che reali. 

Il governo Badoglio, invece, nei “quarantacinque giorni” tra il 25 luglio e l’8 settembre, mantiene la legislazione razziale: nelle sue memorie il maresciallo riporta il timore che, abrogandola, si innescasse un violento scontro con i tedeschi. In quel periodo vengono così annullate solo disposizioni di carattere amministrativo: è soppresso l’Ufficio studi e propaganda sulla razza, il ministero dell’Interno abroga le disposizioni che revocavano le concessioni per il commercio ambulante, i bar e altre attività. Soprattutto, vengono considerate decadute le disposizioni relative ai campi di internamento e lavoro obbligatorio e viene evitata la consegna degli ebrei stranieri ai tedeschi nei territori occupati, ovvero la Francia meridionale, la Grecia, l’Istria e la Dalmazia.

Dopo la resa incondizionata dell’Italia, inizia il processo che porterà all’abrogazione delle leggi antiebraiche: nell’art. 31 dell’Armistizio “lungo” – il documento firmato a Malta il 29 settembre dal generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate nel teatro di guerra del Mediterraneo, e dal maresciallo Badoglio – si indicava infatti come “Tutte le leggi italiane che implicano discriminazioni di razza, colore, fede od opinione politica saranno, se questo non sia già stato fatto, abrogate, e le persone detenute per tali ragioni saranno, secondo gli ordini delle Nazioni Unite, liberate e sciolte da qualsiasi impedimento legale a cui siano state sottomesse”. L’abrogazione effettiva arriva tuttavia solo alla fine dicembre 1943, con l’approvazione del Consiglio dei ministri. Da quel momento può avvenire, sul territorio del Regno del Sud, il reintegro dei diritti dei cittadini ebrei.


Le prime stragi e deportazioni: il Lago Maggiore, Bolzano e Borgo San Dalmazzo

Nelle regioni del Nord, le conseguenze dell’8 settembre sono di tutt’altra natura: il territorio viene rapidamente occupato dalle truppe tedesche che – anche a causa di una reazione vendicativa per il tradimento dell’ex alleato – mettono in atto una politica di violenza nei confronti dell’intero popolo italiano, considerato inaffidabile e opportunista. Gli ebrei sono tra i primi a subire questo radicale inasprimento della situazione.

Il 12 settembre il capo della polizia tedesca di Bolzano dà ordine formale di arrestare i Volljuden (“ebrei puri”) italiani e stranieri, ma una neocostituita polizia locale di sicurezza e dell’ordine (SOD) aveva già avviato gli arresti nei giorni precedenti. Il 16 settembre, ventidue ebrei vengono deportati al campo di Reichenau e da lì ad Auschwitz, altri dieci partirono il 28 settembre.

Tra il 13 settembre e l’inizio di ottobre, sulle sponde del lago Maggiore avviene la prima strage nazista di ebrei in Italia. Al momento dell’armistizio nell’alto novarese erano presenti circa un centinaio di ebrei: famiglie residenti nella zona, ma anche sfollati da Milano, Genova, Torino, e stranieri provenienti da Salonicco, fuggiti alla deportazione dalla Grecia grazie all’aiuto del Consolato italiano. Molti di loro alloggiavano negli alberghi sul lago. Pochissimi giorni dopo la resa italiana, la notte dell’11 settembre, il 1° battaglione della Panzer Division Waffen SS Leibstandarte Adolf Hitler – precedentemente operativa sul fronte orientale – si installa nell’Hotel Beaurivage di Baveno. Nei giorni successivi inizia il rastrellamento degli ebrei in diverse località della zona. L’episodio più noto è quello di Meina dove, nelle notti del 22 e del 23 settembre, sono uccise e gettate nel lago 16 persone, tra cui bambini e ragazzi. In tutto le vittime accertate furono 57.

Analogamente, a Borgo San Dalmazzo (Cuneo), il 18 settembre inizia il rastrellamento tedesco di ebrei fuggiti in Piemonte dalla residenza coatta di St. Martin Vésubie, creata dagli italiani nella propria area di occupazione nella Francia meridionale. Dopo l’8 settembre, infatti, 800 ebrei stranieri avevano pensato di trovare rifugio nell’Italia arresa, lasciandosi alle spalle la Francia occupata dai tedeschi e il regime di Vichy. Invece, il Piemonte viene rapidamente occupato dalle truppe naziste e 349 ebrei sono catturati e imprigionati nell’ex caserma degli Alpini di Borgo San Dalmazzo, dove rimangono fino al 21 novembre, quando in 328 vengono caricati su vagoni bestiame e inviati prima al campo di transito di Drancy (Parigi) e da lì ad Auschwitz. 


Le scelte dei singoli

Dopo l’8 settembre inizia un processo che dividerà in due il Paese lungo la linea mobile del fronte. Grazie all’avanzata angloamericana e alla vittoriosa insurrezione di Napoli, la guerra per le regioni meridionali termina entro l’inizio di ottobre. Dopo la fuga del re e di Badoglio da Roma a Brindisi, si crea il cosiddetto Regno del Sud, la cui sovranità è limitata dai termini dell’armistizio con gli Alleati. Le regioni centro settentrionali, invece, vengono occupate dalle truppe tedesche e il territorio suddiviso in Zone di operazioni sotto diretto controllo del Reich (Prealpi e Litorale Adriatico) e l’area governata dalla Repubblica Sociale Italiana. 

All’inizio di settembre 1943 in Italia vi erano circa 33.000 ebrei (la cifra cresce a 43.000 se si considerano le persone considerate di “razza ebraica” dalla legislazione razziale), tra cittadini italiani e profughi stranieri: di questi, ormai solo in parte erano trattenuti nei campi di internamento fascista, mentre altri erano arrivati invece nel Paese di nascosto, cercando di imbarcarsi per la Palestina o di raggiungere paesi neutrali, come la Svizzera. Avendo già fatto esperienza dell’occupazione tedesca, dopo l’armistizio molti degli ebrei stranieri riconoscono il pericolo che sta per arrivare e si attivano per cercare rifugio e scappare verso territori liberi.

Per gli ebrei italiani, invece, la situazione muta in modo repentino e drammatico: fino a quel momento la persecuzione in Italia aveva riguardato i diritti, ma non la vita. Per questo motivo, la rapidità di reazione dei capifamiglia ha un ruolo cruciale nel trovare vie di salvezza. Quanto prima si attivano contatti per cercare luoghi protetti o vie di fuga oltre le linee del fronte oppure verso la Svizzera, più si hanno possibilità di sfuggire all’arresto e alla deportazione. Nei primi tempi dopo l’armistizio la macchina repressiva della Repubblica sociale e dell’occupante tedesco non era ancora perfettamente funzionante. 

Per sottolineare questo ruolo attivo, Liliana Picciotto usa la definizione di “salvo” e non di “salvato”: si salvarono coloro che misero in discussione leggi e regolamenti, rompendo lo schema mentale che vuole che chi segue le norme abbia sorte migliore. Questo atteggiamento era tanto più vero per gli ebrei, minoranza abituata da secoli a subire l’imposizione di codici restrittivi. “Salvi”, quindi, furono quegli ebrei che alla fine della guerra si ritrovarono vivi e non deportati, rimasti sul suolo italiano o fuggiti altrove, in particolare in Svizzera, grazie alla capacità di trovare soluzioni, contatti, denaro, documenti falsi, percorsi e rifugi sicuri. Una catena di elementi e soprattutto di persone: italiani non ebrei di ceto sociale e credo religioso e politico molto diversificati, in certi casi in una preesistente relazione di amicizia con le persone in fuga, ma anche in relazioni estemporanee, basate però su uno scambio di reciproca fiducia. Le storie dei giusti e dei salvi mostrano un quadro molto articolato – e purtroppo casuale – delle vie di salvezza, in cui la la chiave di volta è stata sempre nell’incontro con l’altro, fuori dalla legge, ma in adesione ai principi fondamentali dei diritti umani.


Bibliografia

  • Liliana Picciotto, Salvarsi. Gli ebrei d’Italia sfuggiti alla Shoah (1943-1945), Einaudi, Torino, 2017.
  • Liliana Picciotto, Deportazione razziale: la persecuzione antiebraica in Italia, 1943-45, in Dizionario della Resistenza, vol. 1 Storia e geografia della Liberazione, pp. 141-147, Einaudi, Torino 2000.
  • Michele Sarfatti, La Shoah in Italia. La persecuzione degli ebrei sotto il fascismo, Einaudi, Torino. 2005.
  • Michele Sarfatti, Gli ebrei nell’Italia fascista. Vicende, identità, persecuzione, Einaudi, Torino 2018.
  • Klaus Voigt, l rifugio precario. Gli esuli in Italia dal 1933 al 1945, La Nuova Italia, Milano 1999.