Luogo Finale Emilia (Mo), Massa Finalese (Mo), Zocca (Mo), Emilia Romagna, Italia
Racconto della vicenda
Don Benedetto Richeldi, parroco di Finale Emilia, e dal 1943 trasferito a Massa Finalese quale coadiutore del parroco don Cleto Bellei (mentre don Andrea Cappellini fu nominato nuovo parroco di Finale), costituisce una rete di aiuto con la collaborazione dei cittadini finalesi Fausto “Vanes” Testi, Flavio Corsari, Roberto “Berto” Ferraresi, del segretario comunale Achille Venturelli, del capo della Polizia urbana Cesare Farina, del maresciallo dei Carabinieri Raffaele Avallone e dell’Arcivescovo di Modena, Cesare Boccoleri, e organizza il salvataggio di dieci ebrei stranieri che si trovavano in regime di internamento libero a Finale, trovando loro più rifugi e fornendo documenti falsi, organizzandone poi la fuga in Svizzera.
Allo stesso modo fornisce aiuto e fa espatriare gli ebrei italiani Felice e Rodolfo Bassani di Ferrara, che in precedenza avevano già tentato la fuga in Svizzera ed erano stati abbandonati e derubati dai contrabbandieri che dovevano provvedere alla loro fuga. Fa nascondere ed evita l’arresto e la deportazione di Roberto Leone Finzi di Ferrara, già medico di Massa Finalese, che lì era ritornato per nascondersi, e del conte Renzo Carrobio di Carrobio, figlio dell’Ambasciatore del re d’Italia, il conte Vittorio Sacerdoti, che aveva fatto cambiare il suo nome in Carrobio di Carrobio.
Fryderyke Hubschmann, detta Frida o Federica è stata la prima degli ebrei stranieri a giungere a Finale Emilia in regime di internamento libero dal campo di concentramento di Lanciano, in Abruzzo. Nata a Stanislanow (Polonia) nel 1906, nel 1935 si trasferice a Firenze per studiare Medicina e lì si laurea nel 1939. Nel 1940, in quanto ebrea e apolide viene arrestata e tradotta a Lanciano. Nel 1942 viene trasferita a Prato in internamento libero, poi a Modena, poi a Sassuolo, scegliendo infine Finale Emilia, probabilmente perché amica di un ebreo finalese, Clemente Coen, già fuggito da Finale. Lì si stabilisce a casa delle sorelle Paltrinieri in Corso Matteotti 12.
Nel giugno del 1942 giungono da Lubiana i Lévy, originari di Sarajevo: il rabbino Moshé Moric Lévy, poi Maurice (o Maurizio), sua moglie Hanna Salpeter e la madre di lui, Sarina Finzi Lévy. A Finale prendono in affitto un appartamento, grazie al sussidio percepito dal Ministero dell’Interno quali ebrei internati.
Nel 1942 giunge a Finale una coppia di Berlino, Erich Memelsdorff, un banchiere, già esule in Italia 1933 e residente ad Imperia, e la moglie Betty Prager, in Italia dal 1940. Arrestato e trasferito nel campo di Montechiarugolo (Parma), forse Memelsdorff trascorre un periodo in internamento libero a Civitella del Tronto prima di essere destinato a Finale, dove la moglie lo raggiunge, probabilmente da Imperia.
Nel 1943 giungono altri internati liberi: Marcel Trostler, un commerciante di legname di Zagabria e la moglie Ella Kaszab, Ebrei croati di origine ungherese che hanno già tentato più volte di entrare in Italia, sempre respinti, mentre loro figlio viene arrestato. Prima di Finale, trascorrono un periodo di internamento ad Aprica (Sondrio). A Finale affittano un alloggio presso i Tommasini, poi presso i Bonfatti.
Da Zagabria proviene anche Alexander Mayerhofer con la moglie Aranka Nemenyi, una coppia di Budapest che i Trostler hanno conosciuto nel 1941 alla frontiera di Buccarizza, in Jugoslavia. I Mayerhofer affittano alcune stanze a casa dell’avvocato Umberto Baldoni.
Dopo l’8 settembre tutti gli internati si trovano in pericolo: il 9 settembre la Wehrmacht giunta a Finale arresta tutti gli uomini ebrei e sei antifascisti e li rinchiude nelle carceri del Castello delle Rocche. A seguito della protesta dei finalesi, dopo un paio di giorni vengono tutti liberati. Una volta liberi, chiedono aiuto al parroco, don Cappellini, che li indirizza a don Richeldi, a quel tempo già a Massa Finalese.
Seguendo il consiglio del segretario comunale Achille Venturelli di non presentarsi più in caserma per la firma quotidiana, don Richeldi trova loro rifugio presso famiglie del luogo, dove vengono accompagnati da Berto Ferraresi: i Meyerhofer rimangono a casa Baldoni, dove l’avvocato appronta una stanza nascosta, priva di finestre; i Memelsdorff vengono posti in una stanza a casa di Filiberto e Merope Meletti in via Oberdan 27; i Trostler vengono portati a casa di Attilio Baruffaldi in via Saffi, luogo alquanto pericoloso, perché una stanza al pianterrenoè stata requisita come alloggio da un ufficiale tedesco. Infine, il falegname Enrico Vallini accoglie per una settimana i Lévy e Frida Hubschmann nella sua casa di via Trento e Trieste 38. I Lévy e Frida vengono poi trasferiti presso una famiglia di Massa Finalese e quindi ricoverati come finti pazienti presso l’ospedale di Finale Emilia. I Carabinieri, nella persona del Maresciallo Raffaele Avallone, collaborano con don Richeldi che li ha avvertiti dei nascondigli e non cercano i fuggiaschi in quelle case.
Nell’organizzare i nascondigli e offrire assistenza non solo agli ebrei ma anche a soldati italiani sbandati, ai renitenti alla leva e a prigionieri di guerra alleati evasi dai campi di prigionia, don Richeldi si avvale di una rete di soccorso creata da don Elio Monari (1913-1944, Medaglia d’Oro al Valor Militare) e di un gruppo clandestino costituito dal maestro di Massa Finalese Mario Monari, dal geometra Giuseppe Tosatti di San Felice sul Panaro e dal capitano Carlo Pezzini di Rivara.
Il 16 settembre 1943 Frida Hubschmann lascia Finale, accompagnata da don Richeldi e raggiunge Palagano, sull’appennino modenese, dove viene accolta da suor Imelde Ranucci delle suore francescane del Convento dell’Immacolata, dove rimane per venti mesi, fino alla Liberazione. Gli altri nove lasciano Finale e vengono trasferiti prima a Zocca (Modena) all’Istituto San Carlo di Montombraro, un collegio cattolico, ancora vuoto nel mese di settembre per le vacanze degli alunni: i Lévy giungono in ambulanza dall’ospedale di Finale, gli altri in treno e poi accompagnati da contadini. Lì rimangono per tre settimane, poi i Lévy vengono trasferiti nella canonica di Montetortore, frazione di Zocca, presso il parroco don Aurelio Reggianini (dove si trovano anche Siegfried Wohlmut, un industriale di Zagabria, e Leone ed Evelin Matathia, titolari di una pellicceria a Bologna). I Memelsdorff giungono prima a Festà o a Rocca Malatina, poi nella canonica di Montecorone, presso il parroco don Roberto Taliani; i Mayerhofer vengono trasferiti nella canonica di Montalbano, altra frazione di Zocca, presso il parroco don Roberto Manfredini e i Trostler presso un’altra canonica, in una località imprecisata.
A novembre 1943 si rende nuovamente necessario spostare tutti altrove, tranne Frida Hubschmann che rimane nel convento di Palagano, luogo ritenuto sicuro. Avvisato da Francesco Vecchione, capo di gabinetto della Questura di Modena (per il quale è in corso l’istruttoria di riconoscimento di Giusto tra le Nazioni) di un rastrellamento in montagna da parte dei repubblichini, don Richeldi sposta i Lévy a Modena, grazie all’aiuto dell’Arcivescovo Cesare Boccoleri. Gli altri vengono riportati a Finale Emilia: i Memelsdorff presso Enrico Vallini, i Trostler dai Baruffaldi e i Mayerhofer dall’avvocato Baldoni. Nel frattempo don Richeldi prepara i documenti falsi per il viaggio verso la Svizzera, con l’aiuto del ragionier Cesare Farina, capo della Polizia urbana, che procura le carte d’identità e i fogli di riconoscimento, e del segretario comunale Achille Venturelli che fornisce il timbro a secco e fà la firma falsa del podestà Arrigo Falzoni.
Don Richeldi incarica Fausto “Vanes” Testi di prendere accordi con i contrabbandieri per il passaggio in Svizzera. Questi si trova a Como perché, dopo essere stato costretto ad arruolarsi nell’esercito repubblichino, con l’aiuto di don Richeldi aveva falsificato un foglio di licenza, portando i giorni assegnati da sessanta a centosessanta e, secondo un piano elaborato da don Richeldi si era iscritto ad una scuola di Como, per poter così giustificare il suo andare e venire e accompagnare così gli Ebrei in fuga fino al confine con la Svizzera.
Con l’aiuto delle due staffette Flavio Borsari e Berto Ferraresi, nel dicembre del 1943 don Richeldi dà inizio ai trasferimenti da Finale alla Svizzera, facendo partire i suoi protetti in giorni diversi, a piccoli gruppi, in treno da Finale a Massa accompagnati da Ferraresi, poi da Massa a Modena da Borsari, e di lì con Fausto Testi fino a Milano e poi a Como. Da Como col battello fino ad Argegno e in corriera fino a Lanzo d’Intelvi, dove vengono presi in consegna dai contrabbandieri contattati da Testi.
Il 7 dicembre 1943 partono per primi i Trostler, ma le pessime condizioni atmosferiche li costringono a tornare a Finale, a casa Baruffaldi. Il 12 dicembre ripartono, poco prima di una perquisizione, e si incontrano a Modena con i Memelsdorff e i Mayerhofer. Insieme, il 14 dicembre entrano in Svizzera. La somma pagata per la loro fuga, novantamila lire, viene raccolta dalle famiglie finalesi Baruffaldi, Meletti e Pedrazzi. Con le stesse modalità, il 21 dicembre anche i Lévy riescono a fuggire in Svizzera. Insieme a loro ci sono i fratelli ferraresi Felice e Rodolfo Bassani, anziani industriali ebrei che già in precedenza avevano tentato la fuga senza successo.
Nei mesi successivi don Richeldi diventa economo spirituale a San Biagio in Padule (Modena) dove entra in contatto con i gruppi clandestini della zona e fà poi ritorno a Massa Finalese. Tradito da una spia a fine luglio, rischiando l’arresto, si rifugia a Fiorano presso la sua famiglia, poi a Palagano, dove rimane fino alla Liberazione, sotto il falso nome di don Carlo Carlini.
Il 28 maggio 1945 Frida Hubschmann lascia il convento di Palagano e torna a Finale, dove incontrò nuovamente le sorelle Paltrinieri con le quali mantiene negli anni un forte rapporto di amicizia e si stabilisce poi a Firenze. Venuta a conoscenza della tragica sorte della sua famiglia in Polonia, con l’aiuto di don Richeldi incontra il fratello minore, unico sopravvissuto. I Trostler tornano a Finale per salutare i loro salvatori e recuperare un baule. I Mayerhofer emigrano prima in Bolivia, poi in Israele, dove fino alla morte restano in contatto con don Richeldi, mentre la sorte dei Memelsdorff successivamente alla fuga in Svizzera non è nota. I Lévy si stabiliscono a Ginevra e nel 1946 ritornano a Finale per incontrare i loro salvatori e recuperare effetti personali e documenti, mantenendo anche in seguito i contatti con don Richeldi.
I Lévy e Frida Hubschmann forniscono a Yad Vashem la testimonianza che porta al conferimento dell’onorificenza di Giusto tra le Nazioni il 3 maggio 1973, che don Richeldi ritira nel corso di una cerimonia presso l’Ambasciata d’Israele a Roma il 29 ottobre 1974. Nel 1993 il Comune di Finale Emilia invita Maurice Lévy, Frida Hubschmann e don Richeldi insieme a Berto Ferraresi a una cerimonia in occasione della celebrazione del 25 aprile. In questa circostanza don Richeldi fà dono al Comune di Finale della sua medaglia di Giusto tra le Nazioni, oggi collocata presso la sezione ebraica del Museo del Territorio di Finale Emilia, mentre Maurice Lévy fa dono di fotografie e dei documenti di indentità falsi. Maurice Lévy muore a Ginevra il 5 maggio 2006 e Frida Hubschmann a Firenze il 30 novembre 2006, mentre don Richeldi muore a Modena il 18 febbraio 1997.
Bibliografia
Gutman I., Rivlin B., I Giusti d’Italia, Mondadori 2006, pp. 201-202 (ed. it. a cura di L. Picciotto)
Balboni M. P., Bisognava farlo. Il salvataggio degli ebrei internati a Finale Emilia, Giuntina 2012
Picciotto L., Salvarsi. Gli ebrei d’Italia sfuggiti alla Shoah. 1943-1945, Luigi Einaudi editore 2017, pp. 194-195.