Ragazzi sia del gruppo tedesco e austriaco che del gruppo jugoslavo con accompagnatori e visitatori davanti a un’ala di Villa Emma. Al centro, il direttore della Villa Umberto Jacchia (Comune di Nonantola – Archivio Storico Comunale)
Luogo Nonantola (MO),  Emilia Romagna, Italy
Racconto della vicenda

 

In fuga dalla Germania e dall’Austria

Il pomeriggio del 17 luglio 1942 arriva alla stazione di Nonantola un gruppo di quaranta giovanissimi esuli ebrei, provenienti da Germania e Austria, insieme a nove accompagnatori adulti. La loro fuga era iniziata diverso tempo prima: a causa delle persecuzioni naziste, tra il 1940 e il 1941 erano scappati da Berlino, Lipsia, Amburgo, Francoforte, Breslavia, Kiel, ma anche Vienna e Graz, ed erano arrivati a Zagabria, dove erano stati affidati a Josef Indig, un giovane sionista croato, membro del gruppo di ispirazione socialista HaShomer HaTzair (“la giovane sentinella”).

A organizzare la loro fuga era stato lo Hilfskomitee für Jüdische Jugend, un comitato di assistenza per la gioventù ebraica creato nel 1933 da Recha Freier, un’ebrea berlinese sionista: di fronte al crescere dell’antisemitismo aveva deciso di aiutare i giovani ebrei tedeschi, discriminati e dal futuro incerto, concependo l’idea che un possibile orizzonte per le loro vite potesse essere la Palestina.

Dopo la presa di potere da parte di Hitler, il suo progetto (noto internazionalmente come Youth Aliyah: aliyah significa letteralmente “salita” e indica la scelta sionista di emigrare), che prima aveva incontrato scetticismo nelle famiglie ebraiche, divenne una possibilità di salvezza per gli adolescenti. Nel 1938, dopo l’Anschluss – l’annessione dell’Austria al Terzo Reich – l’organizzazione si attivò anche per i giovani ebrei austriaci. Fino al marzo 1939 erano così riusciti a emigrare circa 3.000 ragazzi e ragazze tra i 15 e i 17 anni. Con lo scoppio della guerra, la situazione divenne molto più complicata.

Il gruppo affidato a Indig era in attesa dei documenti per poter raggiungere la costa e imbarcarsi per la Palestina quando, il 6 aprile 1941, le truppe tedesche occuparono Zagabria, costringendo i giovani ebrei a scappare nuovamente: grazie all’intercessione della Delasem (Delegazione Assistenza Emigranti Ebrei), ottennero un’autorizzazione straordinaria del ministero dell’Interno fascista per entrare in Slovenia, occupata dalle truppe italiane. In quel territorio, infatti, seppure vigessero le leggi razziali dal 1938, la persecuzione antiebraica, fino a quel momento, era stata relativa ai diritti, non alla vita.

Il gruppo trovò rifugio in un vecchio castello di caccia a Lesno Brdo, vicino a Lubiana, dove soggiornò per circa un anno. Tuttavia, l’avvicinarsi dei combattimenti li costrinse a un nuovo trasferimento: fu allora che la Delasem individuò come luogo ideale dove ospitare i ragazzi Villa Emma, un grande edificio alle porte di Nonantola (Mo) disabitato da tempo e utilizzato nei primi mesi del 1942 per l’internamento libero di sei ebrei libici di nazionalità britannica (Haim Benjamin con figlia Ester e la nipote Jolanda; Heria Alfon con le figlie Alda ed Ester Cohen). Grazie alla segnalazione di Gino Friedmann, referente della Delasem per Modena ed ex sindaco di Nonantola, la villa viene presa in affitto in vista dell’arrivo del gruppo di ragazzi da Lesno Brdo.

L’arrivo a Nonantola e la vita a Villa Emma

Al loro arrivo in stazione il gruppo è accolto con curiosità dai nonantolani, segnando una grande differenza di atteggiamento rispetto a quanto accadeva nei territori del Reich. Inoltre, dato che la villa è completamente vuota, in attesa di attrezzarla con una cucina, i ragazzi per almeno un mese frequentano di necessità il paese non solo per approvvigionarsi, ma anche per mangiare nelle osterie: si iniziano così a costruire relazioni tra abitanti e ospiti stranieri.

A questo primo gruppo, il 14 aprile 1943, si uniscono altri trentatré ragazzi fuggiti dalla Bosnia e dalla Croazia. Arrivano da Spalato accompagnati da Jakov Maestro, anche loro con un’autorizzazione ufficiale del Ministero dell’Interno italiano. Sono in media ragazzi più giovani di quelli che già si trovano a Villa Emma: all’unione dei due gruppi, le ragazze diventano 34 e i ragazzi 39, distribuiti in un arco di età tra i 6 e i 21 anni: tredici bambini e bambine tra i 6 e i 12 anni, quarantadue adolescenti tra i 13 e i 17 anni, diciotto giovani tra i 18 e i 21 anni.

Inoltre, negli ultimi mesi del 1942 la Delasem sposta il suo magazzino e la sezione per l’assistenza ai profughi proprio a Villa Emma, dove arrivano alcuni suoi funzionari, come Goffredo Pacifici.

A Nonantola, i ragazzi ebrei si trovano in un mondo contadino molto distante per mentalità e condizioni materiali rispetto ai contesti cittadini da cui loro provenivano per la maggior parte. Pur contando diversi secoli di storia – di cui è testimonianza l’abbazia fondata nel VIII secolo – nel 1942 Nonantola è un paese della campagna modenese con 10.746 abitanti, molti dei quali residenti nelle frazioni limitrofe. L’agricoltura è la principale risorsa economica degli abitanti; i professionisti, compresi maestri elementari e sacerdoti, non sono più di una trentina.

La vita dei giovani ebrei rifugiati a Nonantola è scandita da attività scolastiche: suddivisi in quattro classi per diverse fasce d’età, i ragazzi studiano musica, letteratura, storia, filosofia, antropologia, giudaismo, sionismo, ebraico moderno, italiano. Inoltre, a sostegno delle attività scolastiche, i ragazzi possono contare su una fornita biblioteca, il cui nucleo centrale è costituito da libri provenienti da Lesno Brdo, cui se ne aggiungono altri procurati dalla Delasem, quasi tutti in lingua tedesca. Vi sono anche spartiti per pianoforte e canto, dischi e un grammofono.

Accanto alle attività scolastiche, in vista della loro aliyah verso la Palestina, i ragazzi imparano anche i lavori agricoli e artigianali: per insegnare queste attività sono coinvolti diversi nonantolani, come il mezzadro Ernesto Leonardi e sua moglie. Viene realizzato un laboratorio di falegnameria e uno di sartoria.

L’interazione tra le due comunità permette di creare delle relazioni tra loro: di collaborazione e, in certi casi, di amicizia. I ragazzi ebrei intrecciano legami con i loro coetanei nonantolani, e lo stesso avviene tra gli adulti. Gli uni e gli altri si trovano di fronte a persone che non rientrano nel loro immaginario: ci sono tra loro differenze di lingua, di stili di vita, di mentalità. Ma l’arrivo di questi ragazzi, senza genitori, provenienti da lontano, suscita nei nonantolani per lo più curiosità, interesse, benevolenza.

Tuttavia, non tutto scorre facilmente: nascono contrasti tra Indig e il direttore Umberto Jacchía, nominato dalla Delasem, a causa di visioni pedagogiche, politiche e di coordinamento del gruppo molto diverse. Anche la differenza linguistica tra i ragazzi tedeschi e bosniaci complica le loro relazioni. Ma soprattutto, spesso tristezza e dolore affiorano anche in quella bolla di tranquillità: non ricevere più lettere e notizie dai genitori e dai fratelli fa presagire il peggio. I ragazzi non sono ignari di essere rimasti soli.

 

Dopo l’8 settembre 1943, di nuovo in fuga

Fino all’estate del 1943, tuttavia, ai ragazzi di Villa Emma la guerra sembra finalmente lontana. Il 25 luglio, a Nonantola, come in altri luoghi, si festeggia la caduta di Mussolini, nonostante il maresciallo Badoglio, nuovo capo del governo, dichiari: «La guerra continua». Come misura precauzionale, nel mese di agosto, i responsabili di Villa Emma richiedono in municipio nuove carte di identità, che vengono rilasciate senza l’annotazione «appartenente alla razza ebraica».

Con l’8 settembre, all’annuncio dell’armistizio con gli angloamericani, la situazione cambia radicalmente. Rendendosi conto prima degli italiani di cosa sarebbe accaduto, di quale sarebbe stata la reazione dell’ex alleato tedesco, i responsabili del gruppo chiedono immediatamente aiuto a Giuseppe Moreali, medico condotto del paese, antifascista, che nei mesi precedenti aveva intrecciato significativi rapporti con la comunità di Villa Emma. La situazione stava diventando pericolosa e occorreva procurare nascondigli ai ragazzi, poiché la residenza non era più un rifugio sicuro. Moreali suggerisce di rivolgersi a don Arrigo Beccari, economo del seminario adiacente all’abbazia: con il consenso del rettore, mons. Ottaviano Pelati, per alcune notti un numero consistente di ragazzi e ragazze viene ospitato nelle stanze dei seminaristi, mentre altri sono nascosti presso diverse famiglie in paese e nei casolari attorno.

In particolare, è il legame di amicizia tra Indig, Moreali e don Beccari a permettere di creare una solida rete di accoglienza e salvataggio, coinvolgendo larga parte della comunità nonantolana.

Quando, la mattina del 9 settembre, le truppe tedesche entrano a Nonantola, Villa Emma è già stata abbandonata.

Tuttavia, non è possibile rimanere in questa situazione a lungo: si teme un rastrellamento nazista.

Grazie alle nuove carte d’identità, i ragazzi potrebbero cercare di passare i controlli della Feldgendarmerie tedesca e della polizia italiana. Tramontata rapidamente l’idea iniziale di portare il gruppo a sud, incontro agli Alleati (dove solo alcuni tra i ragazzi più grandi si dirigono), l’unica alternativa rimane la Svizzera.

Partono alcuni piccoli gruppi formati dai ragazzi più grandi e le loro guide adulte per cercare di passare la frontiera, ma per lo più vengono respinti e tornano a Nonantola. Quei pochi che hanno trovato asilo riescono a mettersi in contatto con le organizzazioni ebraiche presenti in territorio elvetico che intercedono presso le autorità. Vengono così organizzati tre gruppi che partono da Nonantola tra il 6 e il 16 ottobre 1943, riuscendo a raggiungere avventurosamente la Svizzera, pagando i contrabbandieri e le guardie confinarie italiane e guadando il fiume Tresa. Arrivati in Svizzera, grazie all’autorizzazione ottenuta, vengono accolti separatamente in alcuni campi di raccolta, poi il gruppo si ricostituisce a Villa des Bains, presso Bex. Finita la guerra, partono quasi tutti alla volta della Palestina, che raggiungono via nave da Barcellona, il 29 maggio 1945.

 

Salomon Papo e Goffredo Pacifici: i “sommersi”

In questa storia di salvezza, ci sono tuttavia due eccezioni. Uno dei ragazzi, il quindicenne Salomon Papo, arriva a Nonantola da Spalato già malato di tubercolosi e per questo viene ricoverato nel sanatorio di Gaiato di Pavullo (Mo): al momento della fuga, non è possibile farlo ritornare a Nonantola. Arrestato nel marzo 1944, il suo nome compare nella lista di deportati da Fossoli ad Auschwitz con il convoglio del 5 aprile 1944.

Goffredo Pacifici, invece, funzionario della Delasem, svolge un ruolo fondamentale per aiutare i gruppi a passare la frontiera svizzera, facendo base presso la casa di suo fratello Aldo a Ponte Chiasso. Al momento di passare anche lui il confine con la Svizzera decide però di fermarsi in Italia per aiutare altri ebrei a passare dall’altra parte. A causa di una delazione, il 7 dicembre 1943 viene arrestato con suo fratello dalla milizia fascista e deportato ad Auschwitz.

I ragazzi di Villa Emma hanno mantenuto un forte legame con Nonantola e i suoi abitanti. Immediatamente dopo la creazione dell’onorificenza dei Giusti tra le Nazioni, sono stati promotori di una richiesta per Giuseppe Moreali e don Arrigo Beccari, attori principali del loro salvataggio, riconosciuti Giusti il 18 febbraio 1964. A Moreali e Beccari sono dedicati anche due alberi del Viale dei Giusti a Gerusalemme.

Nel 2004 è stata creata Fondazione Villa Emma [https://www.fondazionevillaemma.org/], con il compito di tenere viva la memoria di questa vicenda e il suo significato per il presente. Ispirandosi a questa straordinaria vicenda di solidarietà nell’emergenza, nei tempi più duri e cupi della guerra, la fondazione lavora anche sulla necessità di riparo e rifugio per altri bambini e ragazzi nel tempo presente, in particolare operando nella formazione culturale degli operatori dell’accoglienza. (EP) 

Bibliografia Sonja Borus, Diario di Sonja. Fuga e aliyah di un’adolescente berlinese, 1941-1946, Il Mulino, Bologna 2018

Monica Debbia, Marzia Luppi, Tutti salvi. La vicenda dei ragazzi ebrei di Villa Emma. Nonantola 1942 – 1943, Comune di Nonantola, Istituto storico di Modena, Edizioni Artestampa, Modena 2002

Josef Indig Ithai, Anni in fuga. I ragazzi di Villa Emma a Nonantola, a cura di Klaus Voigt (ed. orig. 1983), Giunti, Firenze-Milano 2004

Maria Laura Marescalchi, Anna Maria Ori, Nonantola e i salvati di Villa Emma. Una guida per la scuola e per i visitatori, Quid Edizioni, Nonantola 2007

Giuseppe Pederiali, I ragazzi di Villa Emma, Edizioni scolastiche Bruno Mondadori, Milano 1989

Ombretta Piccinini, Klaus Voigt, I ragazzi ebrei di Villa Emma a Nonantola, Comune di Nonantola, Archivio storico comunale 2002

Ilva Vaccari, Villa Emma: un episodio agli albori della resistenza modenese nel quadro delle persecuzioni razziali, Quaderni dell’Istituto Storico della Resistenza in Modena e Provincia, Mucchi, Modena 1960.

Klaus Voigt, Villa Emma. Ragazzi ebrei in fuga 1940–1945, La Nuova Italia, Firenze-Milano 2002

MATERIALI ARCHIVISTICI

Archivio e Fondo Archivio Storico Comunale di Nonantola

MATERIALI MULTIMEDIALI

Link ad eventuali materiali video Vicenda dei ragazzi in sintesi: https://www.youtube.com/watch?time_continue=60&v=zveRSh4GFwQ&feature=emb_logo

Archivio testimonianze e audiovisivi:

https://www.fondazionevillaemma.org/archivio-audiovisivo/

https://www.youtube.com/channel/UCAmJx8FCpC_c-_7tuc54nHw/videos