Sor benedetta Pompignoli

Luogo Firenze, Toscana, Italy
La Madre Superiora

A partire dall’8 settembre del 1943, con l’occupazione tedesca e le nuove norme varate dalla Repubblica Sociale Italiana, inizia la vera e propria “persecuzione delle vite” degli ebrei della Penisola. Anche a Firenze, quindi, ci sono dapprima delle grandi retate antiebraiche, ad esempio nel novembre di quello stesso anno, e nei mesi successivi le autorità locali della RSI, in pieno accordo con il comando tedesco, arrestano ebrei italiani e stranieri, stringendo il territorio in una morsa a cui non è facile sottrarsi. 

A Firenze, come nel resto dell’Italia occupata, gli ebrei sono per lo più poco preparati a quanto li aspetta e assai variegate davanti all’urto delle persecuzioni sono le loro reazioni. Esse dipendono dall’età, dalle sostanze di cui possono disporre, dalle reti di amicizia, dalle informazioni che riescono a ottenere e infine dalla sorte. 

Bisogna ovviamente rendersi invisibili all’occhio dei persecutori, e malgrado la presenza sul territorio di reti clandestine di soccorsi organizzati (DELASEM, Chiesa Cattolica e organizzazioni legate alla resistenza), ogni gruppo familiare, a volte addirittura ogni singolo individuo, è costretto a fare storia a sé e a vivere in una radicale solitudine i pericoli e le angosce della clandestinità. 

È questo il caso di Miranda Servi, trentenne ebrea fiorentina, e della madre Pia Ajò (nata a Siena nel 1886). Nel settembre del ’43 le due donne vivono nel centro di Firenze, nei pressi dell’allora Piazza Costanzo Ciano, che al termine della Seconda guerra mondiale cambierà il nome in Piazza della Libertà. Quella libertà di cui Miranda e Pia vengono in parte private già prima del conflitto. 

Fino al 1938 Miranda Servi insegnava materie letterarie all’Istituto Magistrale Pascoli. Espulsa a causa delle leggi razziali, continua quindi la propria professione nella Scuola Media Ebraica. Dopo il primo bombardamento di Firenze, il 25 settembre del 1943, e le continue voci di liste ebraiche in mano ai tedeschi, Miranda e la madre si trasferiscono a San Piero a Sieve, alla periferia del capoluogo toscano. Uno spostamento provvidenziale, perché il 6 novembre “il camion [delle autorità locali] si fermò davanti alla nostra casa per catturarci, ma fortunatamente non vi si trovava nessuno e il nostro nuovo indirizzo era ignorato”, racconta la stessa Miranda, in un suo memoriale del 28 agosto del 1944, depositato presso la Comunità ebraica di Firenze. 

“Dopo poco però”, continua Miranda, “non ci sentimmo sicuri neppure a San Piero, perché mio fratello, che lavorava in un paese vicino, era dovuto scappare di notte dalla fattoria, che era stata occupata dai tedeschi: questa fuga era stata notata e noi dovemmo allontanarci”. 

E se il fratello riesce a raggiungere Roma, per le due donne ha invece inizio una serie di peregrinazioni, tanto faticose quanto rischiose. Miranda, infatti, ben informata delle persecuzioni e della caccia all’uomo in atto contro gli ebrei, non si fa alcuna illusione su eventuali possibilità di sfuggire ai persecutori, se non con la fuga. Ed è proprio a questo punto che la storia delle due donne si intreccia con quella di Suor Benedetta Pompignoli. “A Firenze dopo qualche giorno riuscimmo ad essere accolte, per l’intervento di Monsignor Sommazzi, alla “Protezione della giovane” presso le Suore della Sacra Famiglia”, racconta la stessa Miranda. E proprio suor Benedetta è la Superiora del Convento della Sacra Famiglia, in via dei Serragli 21, a Firenze. Convento che ospita Miranda e Pia per ben due volte: il 16 novembre del 1943, per pochi giorni, e una seconda volta dal 17 marzo del 1944 al 30 luglio di quello stesso anno.

Nel novembre del ’43, infatti, dopo alcuni giorni trascorsi nel convento di via dei Serragli, le due donne preferiscono scappare, avendo saputo delle perquisizioni nel vicino Convento del Carmine. Vengono quindi accolte nella casa della professoressa Nella Bichi, collega e amica di Miranda. “Durante i primi tempi di soggiorno in questa casa, uscivo talvolta per qualche commissione indispensabile e mi arrischiavo anche ad andare a fare qualche lezione in casa di alunni fidati, perché avevo bisogno di guadagnare”, spiega Miranda. 

Ma dopo alcuni mesi, temendo di essere state riconosciute dal vicinato, Miranda e la madre decidono di lasciare la casa della professoressa Bichi. È il 17 marzo del ’44, e le due donne si rifugiano nuovamente nel Convento della Sacra Famiglia, “dove la Superiora, sebbene avesse molte ospiti, fra cui alcune nelle nostre condizioni, ci aprì ancora una volta le braccia”, ricorda Miranda. 

Durante il lungo periodo di permanenza in via dei Serragli non mancano certo dei momenti di grande angoscia e paura, come quello vissuto durante la perquisizione del quartiere di San Frediano. Ed è proprio in quelle ore di grande concitazione che le altre ospiti del convento capiscono da cosa stiano realmente fuggendo Miranda e Pia. “Non era più prudente rimanere”, spiega nel suo memoriale la professoressa, “le altre famiglie se ne andarono, ma la mamma ed io, che non sapevamo dove trovare un altro rifugio, fingemmo di partire e ci chiudemmo in una stanza dove le suore ci portavano da mangiare. Non sto a descrivere la paura che avevamo tutte le volte che il campanello veniva sonato ad ore insolite, le preoccupazioni della Superiora che sapeva il suo convento sospettato e la tristezza di vivere esclusa dal mondo”. 

La paura è la compagna costante di queste due donne in fuga, una paura crescente che diviene presto la causa del crollo nervoso di Pia Ajò. Ed è proprio la figlia Miranda a prendersi cura della madre almeno fino al giorno dell’evacuazione di tutte le abitazioni costruite in prossimità dell’Arno, e quindi anche del convento. Evacuazione decisa dal Comando tedesco che avrebbe fatto saltare tutti i ponti della città per rallentare gli Alleati. Quel giorno, il 30 luglio del 1944, grazie all’impegno di altri amici e conoscenti, Pia viene ricoverata nell’Ospedale di Santa Maria Nuova e Miranda trova invece ospitalità presso l’avvocato Cardoso. 

Il prezzo della definitiva salvezza, che giunge dopo poco tempo, è comunque alto anche per la famiglia Servi. Pia Ajò, infatti, non potendo ricevere cure adeguate viene a mancare il 14 agosto. “Il 16 è arrivato in bicicletta da Roma mio fratello: e così mia madre che aveva vissuto tutto l’anno in attesa di lui, non l’ha potuto rivedere”, ricorda Miranda. 

Alla fine di agosto di quello stesso anno, nel suo memoriale, Miranda Servi scrive su suor Benedetta: “Insieme con le altre suore ha reso meno triste la nostra reclusione ed ha assistito mia madre durante la sua grave malattia; si è comportata coraggiosamente durante una perquisizione e un interrogatorio”. 

La storia delle due donne rimane nascosta per decenni, ed è la storica Marta Baiardi a ritrovare, nell’archivio della Comunità ebraica di Firenze, la testimonianza firmata da Miranda Servi. Testimonianza della quale viene poi a conoscenza la figlia di Miranda, Sara.  

L’8 maggio del 2018 Suor Benedetta Pompignoli viene riconosciuta dallo Yad Vashem come Giusta tra le Nazioni, e il 26 novembre di quello stesso anno, nella Sinagoga di Firenze, è avvenuta la cerimonia di consegna della medaglia ai suoi discendenti.

Bibliografia Baiardi M., “Sulle sofferenze e sui danni subiti in questa guerra”. Due memoriali dall’Archivio storico della Comunità ebraica di Firenze, in Annali di Storia di Firenze, III, 2008, pp. 299-332.

Baiardi M. – Cavaglion A. (a cura di), Dopo i testimoni. Memorie, storiografie e narrazioni della deportazione razziale, Viella, Roma 2014.

Cavarocchi F. – Mazzini E., La Chiesa fiorentina e il soccorso agli ebrei. Luoghi, istituzioni, percorsi (1943-1944), Viella, Roma 2019.

Tagliacozzo L., La generazione del deserto. Storie di famiglia, di giusti e di infami durante le persecuzioni razziali in Italia, Manni, San Cesario di Lecce (LE) 2020.