Racconto della vicenda
Klara Silverman (in seguito Rosenfeld) nasce a Leopoli (Ucraina, ma allora Polonia) nel 1924, ed è la più giovane di sette figli. Dopo l’occupazione tedesca della città, trova lavoro, insieme alla sorella gemella Cill, come addetta alle pulizie presso il Quartier Generale degli italiani a Leopoli, situato nel palazzo del duca Szeptycki, in via Zielona. E proprio in quel contesto conosce Roberto, un soldato italiano di circa 22 anni, «bassino, dalla carnagione scura e con gli occhi verdi». È lui a farle cambiare mansione, consentendole di lavorare nella mensa dei sergenti. «Ricordo ancora il menù del primo giorno – racconta Klara – si trattava di maccheroni col sugo.»
Essendo ebrea non viene pagata per il proprio lavoro, ma l’ambiente della mensa è comunque più confortevole di tanti altri. «Ci siamo sentite bene in quelle settimane. – spiega Klara – Avevamo cibo, un posto di lavoro e sicurezza. Stavamo meglio degli altri, che erano con i tedeschi.» Insieme a lei lavorano altre due ragazze, Miriam e Henrietta, mentre Roberto è responsabile degli spacci di generi alimentari e ha un incarico aggiuntivo: supervisionare i due cuochi, Luciano e Sabattini.
«Ogni volta che gli ufficiali di alto rango visitavano il Quartier Generale, dovevamo rimanere al lavoro fino a tardi e venivamo portati a casa in macchina, di solito da Roberto e da un altro soldato» racconta ancora Klara. «E in una di queste occasioni mio padre ringraziò Roberto e gli chiese di prendersi cura di me perché ero ancora una ragazza giovane e ingenua.»
Il padre lavora ancora nel mulino in cui ha già lavorato durante l’occupazione sovietica, e come molti altri lavoratori possiede una carta timbrata che gli permette di andare e tornare dal lavoro liberamente. Alla madre di Klara viene invece permesso di rimanere a casa.
Non tutti i lavoratori, però, possiedono quelle carte appositamente stampate, e tutti gli operai privi di documenti vengono portati via nell’agosto del 1942, quando ha inizio la cosiddetta Grosse Aktion (Grande Azione) «la più grande e orribile di Leopoli», ricorda Klara. Fra il 10 e il 31 agosto, infatti, circa 45.000 ebrei vengono radunati nel punto di transito posto nel campo di Janowska, e poi deportati a Bełżec . A tutti coloro che possiedono una carta stampata e timbrata, invece, è concesso di andare al lavoro come al solito.
L’Aktion è durata per tre settimane e noi pensavamo non finisse più. – racconta Klara – La prima notte non siamo rientrate a casa dal lavoro. I nostri capi ci diedero delle coperte e ci mandarono in soffitta, dove ci sistemammo per la notte. Il giorno seguente, ci hanno detto che eravamo al sicuro perché avevamo le carte stampate e potevamo andare a casa. I miei genitori pensarono allora che sarei stata più al sicuro in casa che al lavoro, anche perché la nostra casa aveva una grande cantina alla quale si accedeva attraverso una botola posta in cucina, e quella cantina divenne il nostro rifugio.
Tuttavia, il giorno seguente Klara decide di tornare al lavoro, sentendosi tranquilla e tutelata dal proprio documento di lavoro.
Incontrai per strada la mia collega Henrietta e insieme proseguimmo verso il posto di lavoro. La polizia controllava i nostri documenti a ogni angolo della strada, e a un certo punto abbiamo visto da lontano un uomo delle SS che ci salutava e ci chiamava: non avevamo altra scelta che obbedire. Vicino a lui c’erano un poliziotto ucraino e un soldato della Gestapo. Ci sono stati confiscati i nostri documenti e ci è stato ordinato di entrare nell’edificio all’angolo e andare di sopra. Qualsiasi tentativo di opporsi è stato inutile, e arrivati di sopra lo scenario che ci si è presentato davanti era terribile, il nostro cuore si è fermato e il sangue nelle vene ghiacciato: la stanza era piena di uomini che erano stati picchiati, i loro volti lacerati, le loro teste segnate da ferite aperte, il sangue che scorreva sui loro corpi, le braccia rotte. C’erano anche alcune donne, e i loro occhi esprimevano il loro terrore.
Nel pomeriggio vengono tutti trasferiti prima nel Quartier Generale tedesco, e infine nel campo di Janowska, dove vengono lasciati senza cibo né acqua sotto la calura estiva. Ma proprio quando la giornata volge al termine e sia la speranza sia le energie sembrano venir meno, Klara sente una voce chiamare in disparte tutti coloro che lavorano per l’esercito italiano. E sebbene lei non abbia più con sé il proprio documento di lavoro, viene comunque riconosciuta dal soldato italiano, un alpinista, incaricato di riportare fuori dal campo coloro che lavoravano al Quartier Generale italiano.
Lasciare Janowska a Klara sembra già la fine di un incubo. Ma i rastrellamenti tedeschi continuano, e dopo qualche giorno Klara viene a sapere che la madre, la sorella Hela, e la cognata Rachel con il figlio sono stati portati via dai nazisti. A comunicarglielo è la sorella Cill, l’unica riuscita a fuggire e a nascondersi, prima di mettersi in salvo presso il comando italiano.
Poco dopo la Grosse Aktion di agosto tutti gli altri ebrei rimasti in città sono costretti a trasferirsi nel ghetto della città, «posto nei bassifondi alla periferia». E stavolta anche a Klara e alla sorella Cill, insieme al padre e ai due fratelli, Max e Filip, scampati ai rastrellamenti di agosto, tocca la stessa sorte.
Cill fu la prima di noi ad andare nel nuovo ghetto ebraico, dall’altra parte del ponte, e trovò un appartamento in cui potessimo stabilirci tutti. Poi noleggiammo un carro con un cavallo e caricammo le cose che rimanevano nella casa. La nostra è stata una delle ultime famiglie ad abbandonare la propria casa. I detenuti del campo di Janowska stavano costruendo un’alta recinzione attorno al ghetto. Speravo che non l’avrebbero mai finita.
Un giorno, poi, mentre si trova al lavoro nel Quartier Generale italiano, Klara percepisce dall’atteggiamento dei soldati italiani che qualcosa non va. «Alcuni soldati ci spiegarono che io le mie colleghe avremmo dovuto lasciare la base e non farvi ritorno, per ordini ricevuti direttamente da Roma», racconta Klara, che poco dopo inizierà a lavorare, insieme alla sorella Cill, nello stesso mulino del padre.
Il lavoro è l’unica occasione per allontanarsi dalla vita del ghetto, che è sempre più dura. E l’autunno e l’inverno sono difficili non solo per le avverse condizioni climatiche ma anche a causa degli improvvisi rastrellamenti tedeschi.
«Delle volte passarono delle settimane senza che la Gestapo si vedesse all’interno del ghetto, ma il pericolo era sempre in agguato», ricorda Klara. E nella retata del febbraio del 1943, il padre di Klara e la sorella Cill vengono portati via, mentre il fratello Max riesce a scappare.
In primavera, poi, si diffondono delle voci su dei rastrellamenti compiuti dalla Gestapo in altre città del paese, come ad esempio Ternopil’, e la tensione sale ancora di più. I tedeschi entrano nel ghetto soprattutto di notte, e Klara, ogni volta che ha sentore che qualcosa stia per accadere, non fa ritorno al ghetto, allontanandosi o fuggendo per nascondersi.
Alla fine di maggio del 1943, il fratello Filip le procura degli indirizzi di alcune persone di fiducia a cui rivolgersi per potersi nascondere e non fare più ritorno al ghetto. Così, terminata la giornata di lavoro, Klara non rientra nel ghetto. Quella stessa sera il ghetto viene svuotato, Klara rimane quindi sola, definitivamente separata dalla sua famiglia, e trovandosi in grande difficoltà decide di tornare nel Quartier Generale italiano, dove alcuni soldati, tra cui Fosco Annoni, decidono di aiutarla.
All’inizio viene nascosta in soffitta e poi in un magazzino dell’accampamento, per cinque giorni. Le portano del cibo, un cappotto e un berretto militari per tenerla al caldo. Quando poi arriva l’ordine per gli italiani di tornare in Italia, i soldati che la proteggono decidono di portarla con loro in Italia. «Ho raccolto le coperte e indossato il cappotto e il berretto, e i sandali di legno che mi avevano comprato», racconta la stessa Klara. Il piano prevede che Klara venga vestita da soldato e portata di nascosto su un camion diretto alla stazione ferroviaria. Lì i soldati, incluso Fosco, sistemano un piccolo nascondiglio per lei nella sezione bagagli del treno, e Fosco Annoni le dà in quell’occasione il suo indirizzo di casa, a Parma.
Tre giorni dopo il treno giunge a Udine, in Italia. Tuttavia, alla stazione Klara è sospettata di essere una spia e viene arrestata. La sua storia di copertura, in base alla quale lei si è innamorata di un soldato italiano e sta adesso cercando di rintracciarlo, viene apparentemente accettata, ma per assicurarsi che non sia infettata da alcuna malattia viene prima mandata in quarantena in un ospedale gestito da suore, e dopo quindici giorni trasferita in un convento.
Nel frattempo, Fosco Annoni, che ha assistito al suo arresto, non sa cosa le sia successo. Quando arriva a casa, chiede a sua sorella, Tina, di cercare di trovarla. Tina, allora, d’accordo col fratello, inizia un lungo viaggio in treno in cerca di Klara, riuscendo infine a trovarla e invitandola a tornare a casa con lei. Tuttavia, quando Klara arriva a Parma, Fosco non c’è, perché nel frattempo è stato fatto prigioniero dai tedeschi. «Pochi giorni dopo, le sue due sorelle, Tina e Lidia, mi dissero che Fosco era scappato dal campo di prigionia tedesco e si era nascosto insieme ad alcuni amici», ricorda Klara. Saranno comunque Tina e Lidia, insieme al fratello maggiore, Vittorio, a prendersi cura di lei.
Le stesse sorelle di Fosco contattano poi un sacerdote locale, padre Francesco, riuscendo a fare in modo che Klara venga ammessa in un convento a Traversetolo, in provincia di Parma, dove vi rimane, con la falsa identità di Klara Morselli, fino alla liberazione della zona, nella primavera del 1945.
Finita la guerra, Klara torna dagli Annoni, che la mettono in contatto con un rabbino che l’aiuta nella ricerca dei familiari sopravvissuti. Nel 1946 Klara parte quindi per Israele, ricongiungendosi con suo fratello Hayim, sopravvissuto anche lui.
Il 18 marzo del 1993, Yad Vashem riconosce Fosco Annoni e sua sorella Tina come Giusti tra le Nazioni. (SNS) |
Bibliografia |
Gutman I. – Rivlin B. (a cura di), I giusti d’Italia. I non ebrei che salvarono gli ebrei, 1943-1945, Mondadori, Milano 2006.
Rochat G., Leopoli 1942-1943. Militari italiani dinanzi alla Shoah, in La Rassegna Mensile di Israel, terza serie, Vol. 69, N. 2, Saggi sull’ebraismo italiano del Novecento in onore di Luisella Mortara Ottolenghi, Tomo II (Maggio – Agosto 2003), pp. 387-394.
Rosenfeld K., From Lwów to Parma. A Young Woman’s Escape from Nazi-Occupied Poland, Vallentine Mitchell, Portland 2005.
FONTI ARCHIVISTICHE
Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Direzione generale pubblica sicurezza (1861-1981), Divisione affari generali e riservati, Archivio generale, Categorie permanenti, A16, stranieri (1944-1946), busta 90, Silverman Clara fu Hermann.
CDEC, Raccolte e collezioni speciali, Istruttorie Yad Vashem, Fosco e Tina Annoni. |